Sto ascoltando la puntata di oggi di Voi Siete Qui, il protagonista di oggi è un professore che racconta la lezione di commiato dalla classe presso la quale aveva svolto un periodo di supplenza.
Nelle chiacchiere svolte per introdurre la puntata, il conduttore invita gli ascoltatori a ripensare al nome di un docente che ha lasciato un segno nella loro vita, per preparazione, per simpatia o perché aveva qualche atteggiamento particolare.
Heider è il nome che ho in mente. Più volte, anche di recente, ho raccontato di lui ad amici o semplici conoscenti parlando dei trascorsi scolastici o di persone da prendere ad esempio.
Quand’era di là della cattedra la mia visione era diversa.
Don Benedetto Heidersdorf.
Il programma prosegue. Il protagonista del brano interviene per rispondere alle domande del conduttore e, mentre ancora penso a Don Heider ed a quali altri insegnanti possono entrare nei primi cinque, risuona l’accento bolognese.
Sono seduto ad un banco, rispondo alle domande di due persone vestite casual con un giubbetto di pelle scamosciata chiara e dei maglioni di lana dai colori scuri. Abbozzo degli appunti su un figlio di carta e la sala è grande, il soffitto è alto i finestroni sono alti.
È il 13 dicembre 2011. Sto facendo l’esame di stato a Bologna. I banchi dell’Aula magna sono di legno, il pavimento e le colonne tra le finestre sono rivestire di marmo scuro e le tende sono di damascato rosso.